sabato 21 gennaio 2012

Anonymous, la protesta ai tempi del Web 2.0

Appunti da: Repubblica


Gli hacker attivisti fanno paura al potere. Così stanno protestando per la chiusura di Megaupload

di TIZIANO TONIUTTI






PER ORA è cronaca: la chiusura 1 della piattaforma di condivisione Megaupload/Megavideo da parte dell’Fbi ha provocato una contromossa di Anonymous, la legione di hacker senza volto e senza nome, che ha sferrato un attacco verso importanti siti istituzionali e commerciali statunitensi. Giù le homepage del dipartimento di Giustizia, della Riaa e della Mpaa, le potentissime associazioni delle industrie discografiche e cinematografiche Usa. In Rete perfino i dati personali del capo della Fbi, Robert Muller: una beffa atroce: E giù anche il sito della Universal, tanto per gradire. Certo azioni illegali, a fronte della legalità dell'intervento federale su Megavideo. Ma che hanno un peso di rilievo assoluto nella ridefinizione della bilancia dei poteri nell'epoca digitale, e sono il tornasole dell'esistenza di categorie nuove, e della necessità di codificarle nella legalità e nella società.

Per ora è cronaca, in realtà è epica contemporanea. Hacker contro le decisioni del Federal Bureau e le pressioni delle lobby sulla politica, che per la prima volta nella Storia portano una reazione che parte dalla base della società digitale allo stesso livello di quella calata dall’alto dal potere delle amministrazioni. La web-war tra gli Usa e Anonymous è l’attualizzazione dei moti popolari. Perché la tecnologia è lo strumento principale che l’uomo contemporaneo ha per avvicinarsi alla libertà. E questo lo sa bene il potere, quanto la società. Che nelle avanguardie delle democrazie più compiute è istruita, formata ed è uscita dal tunnel dell’ipnosi televisiva e conosce mezzi e strumenti di intervento sulla realtà. Lo sa bene l’industria, consapevole di essere superata nei prodotti e negli strumenti di produzione, nell’utilizzo delle risorse umane e tecnologiche, nell’individuazione delle sorgenti di reddito e guadagno. Un ancien regime che come sempre è accaduto nella storia resisterà fino all’inevitabile travolgimento, con molte più perdite di quelle che porterebbe un’evoluzione pilotata e ragionata. Che magari potrebbe anche riconvertire al rialzo e con successo le professioni e le professionalità.
Anonymous dice al mondo e ai poteri, “come tu chiudi questo, io posso chiudere te”. Se le cronache mostrano un popolo nuovo fatto anche di gente che occupa Wall Street, le azioni di Anonymous sono dimostrazioni pratiche della ridistribuzione del potere che l’avanzamento tecnologico porta in dote. Perché è questo il denominatore della questione e non, come appare alla prima occhiata, il duello delle industrie buone e degli sceriffi contro i cattivi pirati che vogliono rubare musica e film, o almeno goderne senza pagare.

Il motto di Anonymous è un’epigrafe elegante e a suo modo poetica, in cui il concetto di divisione per zero serve a chiarire come l’unità della struttura sia indivisibile: “United as one, divided by zero”, liberamente tradotto, “Uniti siamo uno, divisi da nessuno”. Anonymous adotta uno slogan che nel tempo si è ripetuto molte volte e in molte forme. Dai moschettieri di Dumas agli Sham 69 di “If the kids are united they will never be divided”, dal romanzo d’appendice al punk degli anni 70. Ma sempre nella cultura popolare. E questo è Anonymous: cultura popolare contemporanea, agglomerato dei concetti fondativi degli ultimi decenni di mercato, di scienza, spettacolo, letteratura, musica. E’ il frutto maturo della generazione multimediale, che per la prima volta ha la consapevolezza di un potere e lo usa per insorgere contro un mondo che vede antico e che ostacola la nascita di nuove categorie. Di pensiero, di mercato, di società.

E così, è la nascita e l’esistenza di Megavideo-Megaupload, e non la sua chiusura con la forza bruta, a evidenziare la crisi di tutto un sistema industriale e sociale. Che nonostante tutto, guadagna e distribuisce dividendi: come ricorda forse involontariamente Enzo Mazza della Fimi, la federazione dell’industria musicale italiana: “La chiusura di Megaupload rappresenta un segnale forte e lancia un messaggio chiaro ed inequivocabile alle altre piattaforme che offrono servizi simili”, scrive Mazza in un comunicato ufficiale. E aggiunge: “In Italia il mercato della musica digitale legale nei primi 9 mesi del 2011, ha raggiunto il 23% con un fatturato di quasi 19 milioni di euro ed una crescita, rispetto allo stesso periodo dall’anno precedente, del 17%”. Una crescita del 17% in un anno, con la crisi che morde. E soprattutto, con Megaupload e decine di altri servizi analoghi, i cosiddetti “cyberlocker”, attivi e prosperi.

L’uomo di oggi nella migliore delle ipotesi nasce connesso a un mondo nuovo che spinge per fiorire, concimato da un mondo vecchio in crisi di evoluzione. Uno scenario che qualcuno, come Apple, ha saputo trasformare in opportunità. Chiudendo il suo ecosistema per rimanere protetti, ma anche, molto oculatamente, per non calpestare le aiuole altrui. E diventando in breve tempo leader dei nuovi mercati.

Anonymous non è quindi il Robin Hood che ridà ai poveri quello che lo sceriffo di Nottingham vuole togliere. E’ una struttura sociale determinata dalla tecnologia, con la capacità di intervenire sulle infrastrutture digitali che reggono il modo di oggi. E’ uno strumento di potere del popolo di oggi, che il popolo non ha mai avuto in questa forma e con questa forza.
Le menti di Anonymous sono potenzialmente in grado di compromettere la stabilità dei sistemi mondiali. E allo stesso tempo, di ricostruirne altri. Quello dell’elite hacker è un asse di potere globale, e assieme una rappresentanza, benché senza nome, dei nuovi popoli, mescolati e globalizzati tanto quanto le multinazionali. Dall’ultima generazione analogica, quella dei quarantenni di oggi, ai nativi digitali che usano la tecnologia d’istinto.

Il potentissimo controattacco di Anonymous ai “powers-that-be” dell’industria e della politica dimostra l’esistenza di un soggetto sociale e quindi politico che incarna un’evoluzione avvenuta. E che rende palese come una road map fatta di chiusure di siti e di server non porti da nessuna parte. Sicuramente non verso le possibili idee di futuro e di progresso che nonostante la complessità degli scenari, è possibile e doveroso tracciare.
(20 gennaio 2012)


Appunti da: Repubblica

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