sabato 31 dicembre 2011

Mulino a vento

Il ministro Terzi deferisce il console fasciorock

 

Appunti da: Corriere della Sera


Mario Vattani, attuale console a Osaka, leader di una band che inneggia a Salò. E' stato consigliere di Alemanno


FARNESINA
Il ministro Terzi deferisce il console fasciorock
Mario Vattani, attuale console a Osaka, leader di una band che inneggia a Salò. E' stato consigliere di Alemanno
ROMA - Deferito alla Commissione di disciplina del Ministero degli esteri. E' stato un articolo comparso il 29 dicembre sul quotidiano l'Unità a convincere il ministro Terzi dell'urgenza di un intervento sul caso di Mario Vattani, console italiano a Osaka e figlio d'arte (suo padre, Umberto, ex segretario generale della Farnesina, è tra i diplomatici più conosciuti d'Italia). Il console, però, risulta essere anche il leader del gruppo fasciorock «Sotto fascia semplice», noto negli ambienti neofascisti vicini a Casapound con il nome di Katanga.
CASAPOUND - Proprio durante un'esibizione con il gruppo, lo scorso maggio a Roma, in occasione di un raduno organizzato da Casapound, Vattani è stato immortalato in alcuni video mentre duetta con Gianluca Iannone, leader degli Zeta Zero Alfa. I filmati, finiti su youtube, mostrano il diplomatico mentre intona versi contro i pacifisti e i disobbedienti, davanti al pubblico che, davanti al palco, tende le braccia per il saluto romano. Pezzi che inneggiano alla a Salò e alla «bandiera nera» («Io so che tra cinque anni / a primavera alzerò la bandiera nera»). Ad annunciare la presentazione di un'interrogazione urgente al capo della diplomazia italiana era stato il Pd con Roberto Morassut: «Nelle prossime ore presenteremo un'interrogazione urgente al ministro degli Esteri, Giulio Terzi, per sapere se ritenga opportuna la nomina a console generale d'Italia in Giappone di Mario Vattani, funzionario della Farnesina e leader di un gruppo musicale vicino agli ambienti di Casapound».
Vattani insieme al sindaco Alemanno e alla moglie Isabella Rauti Vattani insieme al sindaco Alemanno e alla moglie Isabella Rauti
CONSIGLIERE DEL SINDACO - Mario Vattani, 45 anni appena compiuti, è stato per tre anni - dal 2008 al 2011 - consigliere diplomatico del sindaco Alemanno, e prima sempre con lui, al Ministero dell'Agricoltura, da luglio è volato in Giappone dove è stato promosso console generale d’Italia a Osaka. Ma Vattani ha fatto parlare di sé anche in passato. Giovanissimo, finisce su tutti i giornali, insieme all’amico Stefano Andrini - anche lui al centro di polemiche dopo che Alemanno lo nominò ad di Ama- e ad altri militanti dell’estrema destra in seguito al pestaggio di due giovani di sinistra davanti al cinema Capranica. Prosciolto dalle accuse, intraprende la carriera diplomatica, che lo porta a ricoprire per due volte la carica di consigliere per le relazioni internazionali di Gianni Alemanno, prima al ministero dell'Agricoltura e poi al Campidoglio. In quegli anni, Vattani si accompagna ad Alemanno in diversi viaggi, tra cui quelli ad Auschwitz e a Hiroshima.
Un'immagine ufficiale di Vattani console Un'immagine ufficiale di Vattani console
ANPI - Sul caso era intervenuto anche l'Anpi nazionale. «Le ridicole nere esibizioni notturne di Mario Vattani, console italiano in Giappone, non possono non preoccuparci in quanto rivelatrici di un clima di nostalgismo fascista che è penetrato fin dentro le istituzioni», scrive Carlo Smuraglia, presidente nazionale dell'Associazione partigiani Anpi.


Redazione
30 dicembre 2011 (modifica il 31 dicembre 2011)





Gianluca Casseri e l'abituale disumanità di Giovanni Donzelli

 

 

mercoledì 14 dicembre 2011




Firenze, 13 dicembre 2011. Un certo Gianluca Casseri ha ucciso a freddo due persone provenienti dalla Repubblica del Senegal e ne ha ferite altre due.
Questo prima di uccidersi a sua volta, almeno secondo le prime dichiarazioni date in pasto alle gazzette.
Un giro sui motori di ricerca ha permesso ai gazzettieri di fornire ai sudditi un ritratto relativamente dettagliato di Casseri, che una mattina di dicembre ha così preziosamente contribuito alla lotta contriddegràdo e pellasihurézza. E' probabile che in questo dicembre organizzazioni come Boutique Pound avranno per qualche giorno questioni più importanti di cui occuparsi che non di vendere magliette, cappellini e musichette mediocri al loro pubblico di buoni a nulla.
Giovanni Donzelli invece è un diplomato ben vestito di cui ci siamo già occupati più volte, politico "occidentalista" della più autentica e fedele specie.
L'"occidentalismo" è una pratica politica che ha i propri fondamenti nell'ingiustizia, nella prevaricazione e nella menzogna, messe a servizio di una visione del mondo che si basa sull'arbitrio e sulla prepotenza. Fedele ai principi che gli hanno permesso fino ad oggi di evitare qualsivoglia attività lavorativa, immediatamente dopo le prime notizie su quanto stava accadendo in città Giovanni Donzelli ha rilasciato un comunicato stampa che gli è immediatamente valso qualche risposta un po' risentita, molto distante da quel disprezzo pronto alle vie di fatto che in contesti meno involuti di quello peninsulare rappresenterebbe l'unica risposta possibile all'operato di simili frequentatori di ristoranti.
Vista la mala parata, il comunicato è stato fatto sparire da diverse delle gazzettine on line più condiscendenti verso la spazzatura "occidentalista", ma su questo ritorneremo tra poco.

Vale la pena ricordare che da molti anni gazzette dalla pretesa serietà, dalla postulata "libertà" e dalla ancor più pretesa autorevolezza trovano normalissimo riportare ogni giorno dichiarazioni, intenti e considerazioni come i propositi incendiari e dinamitardi di Oriana Fallaci, cui gli "occidentalisti" fiorentini vorrebbero con indubbia coerenza che fosse dedicata una strada.
La tendenza è comune all'intero panorama gazzettistico; nel caso dei fogli "occidentalisti" il fornire sostegno propagandistico ai committenti politici supera qualunque altro obiettivo, perfino quelli legati alla sopravvivenza economica delle testate. In questo le gazzette hanno fatta propria e veicolato all'intero pubblico la weltanschauung scimmiesca che fino all'inizio del millennio trovava diffusione soltanto in piccoli e relativamente innocui nuclei di omùncoli con alle spalle un curriculum da falliti bulli di quartiere. Una weltanschauung che è stata sistematicamente e consapevolmente presentata come l'unica condivisibile, essendo concetti come la competenza, l'umanità, la riflessione e l'equanimità -per tacere della giustizia sociale in primo luogo- roba che almeno dagli anni Ottanta del passato secolo è stata in blocco consegnata al disprezzo ed all'oblio che toccano agli sconfitti della storia.
Suscita una certa irritazione venata di scostanza, all'indomani di episodi come questo, scorrere editoriali piagnucolosi come quello di Paolo Ermini, capogazzettiere dell'edizione fiorentina della gazzetta "occidentalista" chiamata Corriere della Sera, cui spetta in questi casi il compito di presentare l'operato suo e del foglietto per cui "lavora" come se fossero parte delle soluzioni anziché parte dei problemi.
Il comportamento dei mass media e la linea politica seguita dalla loro committenza hanno prodotto nella penisola italiana il clima sociale di cattiveria spicciola, pubblica abiezione e meschinità abituale che i nostri lettori conoscono bene e per il quale non esiste disprezzo sufficiente.
Detto altrimenti, è sorprendente che dopo un simile, pluriennale e costante avallo dei comportamenti più disumani e ributtanti da parte di fonti presentate come autorevoli e non confutabili -pena l'accusa di terrorismo e il bando mediatico nel migliore dei casi- il numero di episodi imputabili ai Gianluca Casseri non abbia assunto portata ben più ampia.

Torniamo adesso a Giovanni Donzelli, il diplomato benvestito.
Nelle prime ore del 14 dicembre 2011 il comunicato stampa citato risultava ancora visibile nel sito di cui si riporta la screenshot. Di séguito, a beneficio dei motori di ricerca e dei nostri lettori, ne riportiamo anche il testo.
Si tratta di materiali pressoché incommentabili. In contesti normali sarebbe chiaro che l'unico motivo per cui è plausibile la diffusione di un simile collodio sta nella ricerca di visibilità mediatica ad ogni costo.
Facciamo dunque finta per un momento che la penisola italiana costituisca un contesto normale ed aiutiamo Giovanni Donzelli a restare mediaticamente visibile, che è quello che più desidera.
La possibilità che a séguito di questo ci sia qualcuno che si pone qualche domanda è remota, ma non va certo scartata a priori.


Far West in piazza Dalmazia, Donzelli (Pdl): «Firenze crocevia della criminalità. Falliti i tentativi di integrazione»

Dichiarazione del Consigliere regionale del Pdl Giovanni Donzelli
«Regolamenti di conti, sparatorie, infiltrazioni camorristiche e criminalità internazionale: Firenze è ormai e crocevia del malaffare. Forse sarebbe opportuno che il sindaco Matteo Renzi tra una kermesse e l’altra, si interessasse anche del precipitare dei livelli di sicurezza in città. E’ evidente che sono miseramente falliti tutti i tentativi di integrazione portati avanti dalla politica delle ‘porte aperte a tutti’ praticata dalla sinistra negli ultimi decenni a Firenze e in Toscana». «Così, mentre alle spalle della Leopolda, tanto cara a Renzi, centinaia di irregolari vivono in condizioni di illegalità e malessere, la stessa piazza Dalmazia, teatro del regolamento di conti di oggi con tanto di sparatoria, la notte si trasforma in un giaciglio di disperati. Intanto, a poche centinaia di metri, continua l’occupazione abusiva di Poggio Secco con decine e decine di irregolari che non vengono né censiti né controllati, ma che in alcuni casi ottengono la residenza negli stabili occupati illegalmente». «In questo scenario, le forze dell’ordine operano tra le mille difficoltà dovute non solo alla tolleranza di fenomeni di abusivismo da parte dell’amministrazione comunale, ma anche alla scelta folle di non dotare la nostra regione di un centro di identificazione per extracomunitari. In un simile clima da far west internazionale si insediano facilmente la criminalità organizzata e le mafie di tutto il mondo». (mo.no)
Appunti da: Io non sto con Oriana

Come si diventa un Gianluca Casseri. Per una interpretazione del massacro di Firenze.


 

giovedì 15 dicembre 2011



Involontariamente notevole il titolo dell'articolo di Donzelli: "Far West in Piazza Dalmazia".
Far West si traduce profondo Occidente.

Miguel Martinez

Non tutti gli stati sovrani sono come quello che occupa la penisola italiana; ve ne sono anche svariati altri il cui nome può essere pronunciato senza che le reazioni dei presenti vadano dall'indifferenza venata di repulsione alla risatina di scherno.
Uno di questi è la Repubblica Francese, alla cui realtà fanno riferimento le righe che seguono. Si tratta di una realtà che ha molti tratti in comune con quella dello "stato" che occupa la penisola italiana, a cominciare dalle aperte assurdità perpetrate ogni giorno dall'apparato repressivo.
Il testo è tratto Da L'Insurrezione che viene, curato da un Comitato Invisibile francese e reperibile in rete da qualche anno. Costituisce una descrizione sufficientemente precisa delle condizioni in cui vivono gli "occidentali" contemporanei e definisce responsabilità parimenti precise.
Le righe in corsivo contengono la chiave di una possibile interpretazione del massacro di Firenze.

Un governo che dichiara lo stato d'emergenza contro ragazzini di quindici anni. Un paese che si rimette per la sua salute ai piedi di una squadra di calcio. Uno sbirro in un letto d'ospedale che si lamenta di essere stato vittima di 'violenza'. Un prefetto che emana un decreto contro chi si costruisce delle capanne sugli alberi. A Chelles, due ragazzini di dieci anni accusati di aver dato fuoco a una ludoteca. Quest'epoca eccelle per i toni ridicoli in tutte quelle situazioni che sembrano sfuggirle di mano. E c'è anche da sottolineare che i media non risparmiano gli sforzi per soffocare nei registri del pianto e dell'indignazione lo scoppio di risate che dovrebbe accogliere simili notizie.
Un'esplosione di risate: è la risposta che viene data a tutte le gravi 'questioni' che l'attualità trova piacevole sollevare. Prendiamo la più dibattuta: 'l'immigrazione non è un problema'. Chi cresce ancora là dove è nato? Chi abita lì dove è cresciuto? Chi lavora là dove abita? Chi vive lì dove hanno vissuto i suoi vecchi? E di chi sono figli i giovani di quest'epoca, della tivù o dei loro genitori? La verità è che (cittadini e non-cittadini) siamo stati strappati di peso dalle nostre radici, che non siamo più di nessun luogo, e che da ciò ne consegue, insieme a una incredibile inclinazione ai viaggi turistici, un'innegabile sofferenza. La nostra storia è fatta di sradicamento, colonialismo, migrazioni, guerre, esili. È questa storia che ha fatto di noi degli stranieri in questo mondo, degli ospiti nella nostra famiglia. Ci hanno espropriato della nostra lingua con l'insegnamento della lingua nazionale, delle nostre canzoni con il varietà, dei nostri affetti con la pornografia di massa, delle nostre città con la polizia, dei nostri amici con le condizioni di lavoro. Si aggiunga a questo elenco l'impegno deciso e continuo d'identificazione da parte dello Stato che classifica, compara, disciplina e separa chi è ancora giovane, che cancella di colpo la solidarietà che gli sfugge di mano, sicché alla fine non resta che una cittadinanza come pura appartenenza, astratta e ideale, allo Stato.
Il francese è un espropriato, un miserabile. Il suo odio nei confronti degli stranieri si confonde con l'odio che prova nel sentirsi come uno straniero. La sua gelosia e il suo terrore per i cités descrivono la rabbia che sente per tutto ciò che ha perso. Non può astenersi dall'invidiare quei quartieri detti di 'confine' dove ancora resistono un'ipotesi di vita in comune, qualche legame fra le persone, una solidarietà non di stato, un'economia informale, una gestione del luogo che non è ancora distaccata da chi ci vive.
Siamo giunti a un punto di espropriazione in cui il solo modo di sentirsi francesi consiste nell'inveire contro gli immigrati, contro chi è manifestamente straniero come me. Gli immigrati detengono questa curiosa posizione di superiorità: se non ci fossero più, non esisterebbero più i francesi.



Ha ragione Francesco Torselli: "Casaggì non è un centro di formazione di violenza".

 

sabato 17 dicembre 2011

Il 13 dicembre 2011 a Firenze un certo Gianluca Casseri ha ucciso due cittadini della Repubblica del Senegal e ne ha feriti altri due prima di uccidersi a sua volta. Questo secondo le prime versioni dei fatti diffuse dalle gazzette.
Nelle ore successive Casseri è stato ricordato come assiduo frequentatore di organizzazioni ed iniziative estremiste; negli ambienti attorno ai quali gravitava gli sono stati così grati e così riconoscenti che in capo ad un giorno, e secondo una prassi consolidata, i suoi scritti ed il suo nome sono stati rimossi da tutte le pagine web da cui era possibile rimuoverli.
Il microscopico mondo dell'"occidentalismo" fiorentino, improvvisamente nell'occhio di un ciclone di aperta impopolarità cui contribuisce anche un clima mediatico cui interessa un po' meno picchiare su tasti come quello delle zingare rapitrici, si è anch'esso esibito in una nutrita serie di prese di distanza e di excusationes non petitae.
In particolare, il micropolitico "occidentalista" Francesco Torselli non ha affatto gradito le considerazioni radiofoniche di un certo Marmugi:
“Il Presidente Marmugi in una radio cittadina ha definito Casaggì un ‘centro di formazione di violenza’, espressione che non solo ci offende ed offende le centinaia di ragazzi che frequentano ogni giorno il centro, e che semmai, negli ultimi anni, la violenza l’hanno subita, reagendo sempre con responsabilità ed intelligenza, ma getta benzina sul fuoco in un momento in cui servirebbero interventi per stemperare gli animi e non certo per accalorarli”.
“La frase di Marmugi è vergognosa e indecente. I ‘centri di formazione di violenza’ non appartengono alla nostra cultura politica, che è quella della destra istituzionale ed identitaria italiana. Se nel corso della sua storia politica il presidente Marmugi ha conosciuto dei ‘centri di formazione di violenza’, non li ha certo conosciuti a destra, ed in ogni caso lo inviterei, se in possesso di informazioni a riguardo, a rivolgersi alla magistratura”.
E' utile ricordare ai lettori non fiorentini che questa Casaggì rappresenta l'unico radicamento sul territorio del maggior partito "occidentalista" della penisola italiana, con il quale non sono neppure mancati gli attriti, culminati mesi fa in un'aperta presa di distanza che ha messo i giovani "occidentalisti" in condizioni di dover togliere i simboli del partito da molta della loro propaganda. Con la fine di un patrocinio tanto palese sono finiti anche gli imbrattamenti murali a base di colla e manifesti, modus operandi in cui i giovani "occidentalisti" fiorentini avevano maturato un'autentica specializzazione.
La propaganda "occidentalista" non si è mai trovata a proprio agio con i nuovi media e si è per solito limitata ad allagare internet con i propri contenuti. La stessa Casaggì e lo stesso Francesco Torselli hanno prodotto e diffuso negli anni moltissimo materiale che non avvalora affatto la loro condivisione di una weltanschauung irenistica, tollerante e portata alla condivisione, ignorando o facendo finta di ignorare le implicazioni che nei nuovi media rivestono l'interattività e soprattutto l'eccellente memoria del web.
In casi come quello di cui stiamo trattando, le due cose si rivelano molto controproducenti, come andremo adesso a dimostrare limitando al minimo gli esempi per non infliggere a chi legge un elenco puntiglioso e sostanzialmente poco utile.
Cominciamo da qualche vicenda recentissima.
Si ricorderà come nel 2010 il maggior partito "occidentalista" della penisola italiana abbia dovuto affrontare una scissione che a livello propagandistico è stata tamponata linciandone a mezzo stampa il principale responsabile. La cosa è stata utilissima all'esecutivo anche e soprattutto per distogliere l'attenzione dei sudditi dalle reali condizioni del "paese" ed è stata resa molto facile dall'ormai realizzata coincidenza di contenuti che esiste tra i mass media del mainstream ed il catalogo patinato di un qualsiasi postribolo di media levatura.
Della cosa deve aver risentito anche il bicchiere d'acqua dell'"occidentalismo" fiorentino perché nel bel mezzo dell'abbaiare della feccia gazzettiera Casaggì pubblicava un brano degli ZetaZeroAlfa, un gruppo di grattacorde organico a Boutique Pound:
La nostra dedica quotidiana agli infami, ai viscidi, ai pavidi, ai protetti, ai bugiardi, ai pochi e tristi servi delle proprie squallide opportunità, traditori di Comunità e di sogni. Ci vedremo nella mischia, bastardi. Non finirà mai: ci sarà sempre un pò di odio per voi.
Su chi fossero i potenziali destinatari di un simile trattamento si possono fare soltanto delle supposizioni; le nostre sono frutto di una contestualizzazione dei materiali presentati.


Nello stesso periodo "infami e delatori" rei di chissà quale nequizia dovevano affrontare addirittura la prospettiva di una refertazione medica precisa: sette giorni.


Alcuni mesi dopo attivisti di Casaggì sono incappati in una piccola disavventura legata proprio ad un utilizzo troppo disinvolto dei referti medici; la cosa deve aver suggerito loro qualche cautela in più.
E' stimolante far notare che i mangiatori di maccheroni soliti ritrovarsi nel fondo di via Frusa ("Zona pallonaio", altra precisazione degnissima di nota) condividono la prassi "occidentalista" che impone la sostituzione delle argomentazioni con il ricorso sistematico ai tribunali.
Coerenza non conforme.

Archive.org è un'organizzazione meritevole, che consente di salvare il passato di internet dai rimaneggiamenti e dalle cancellazioni cui certe fonti possono andare incontro. Da archive.org la ricerca dei contenuti pubblicati nel corso degli anni su www.agfirenze.it restituisce risultati come questo.
Anno 2005. Tra l'iconografia della costituenda Casaggì troviamo quel Corneliu Zelea Codreanu che a Casaggì viene considerato un "referente comunitario" (si veda il documentato saggio di Zeev Barbu) il pallone travestito (una tradizione inventata fiorentina, caratterizzata dalla propensione dei suoi praticanti alla violenza più inutile ed abietta), riferimenti a Boutique Pound e, in abituale dissonanza, quei piagnistei contriddegràdo e pellasihurézza che additiamo ogni giorno allo scherno dei nostri lettori.
Anno 2006. Casaggì invita ad un presidio contro le "case agli zingari", aiuta le gazzette a linciare gli avversari politici, presenta una propria Sala Romualdi dedicata alla formazione culturale e politica dei frequentatori e fornita di opere di Corneliu Zelea Codreanu e di Julius Evola, elenca un pot pourri di maestri di vita in cui figurano non poche tra le letture coltivate da quel signor Gianluca Casseri dal quale è oggi così opportuno rimarcare la distanza, e che potrebbero in svariati casi essere definiti piuttosto maestri di morte.
Casseri, d'altronde, avrebbe forse condiviso anche l'intitolazione della sala.
Anno 2007. Grazie ad un certo Matteo Conti, Casaggì Firenze comunica ai sudditi che lo stato che occupa la penisola italiana è governato dalle Brigate Rosse...
Anno 2008. Intanto che onora i combattenti irregolari di mezzo mondo, Casaggì si ricorda di Firenze, dove gazzettieri e politicame hanno da tempo statuito che si definisce terrorismo qualunque comportamento che non trasferisca denaro dalle tasche di chi ne ha poco a quelle di chi ne ha molto. Dunque pubblicizza Azione Sicurezza "per mantenere la legalità a Firenze" e si accalora per il valore che più conta per la gioventù "occidentalista": il pallonaio, la palloneria, i pallonieri. Gente strapagata verso cui gli "occidentalisti" sono indulgenti anche quando aggredisce chi lavora sul serio.

Il quadro culturale cui Casaggì non fa mistero di riferirsi, assieme alla pratica politica intrisa di profonda competenza di cui ha dato nel corso degli anni, fanno dunque pensare più che altro al concetto di comunità escludente e consentono senza troppi dubbi di considerarla un corresponsabile, sia pure di quarta fila e con una portata ed una capacità di azione assolutamente trascurabili, del clima sociale che i nostri lettori ben conoscono.
In questo è doveroso riconoscere le ragioni di Francesco Torselli: Casaggì non è un centro di formazione di violenza. E' qualcosa di molto meno se non qualcosa di molto peggio.




Il clima organizzativo in cui è immerso il maggior partito "occidentalista" della penisola italiana, al quale per quanto è dato sapere Casaggì è stata organica èd è a tutt'oggi contigua, è fatto di cose come questa.
Diffuse, promosse, avallate, sostenute in ogni sede mediatica e con frequenza quotidiana.
Gheri Guido è un oziatore radiofonico di Scandicci molto presente alle iniziative elettorali e propagandistiche legate all'"occidentalismo". Anche un altro "occidentalista" relativamente noto come Achille Totaro è di Scandicci; Gheri Guido però si riconosce perché non è grasso.
Uno dei commentatori esprime sul suo conto delle valutazioni molto generose:
"mi sembra che un tipo così (sembra un ubriaco raccattato in un bar) non sia nemmeno da offendere."
Un commento che va nella direzione giusta: forse non è troppo tardi per iniziare a restituire questi materiali ed i loro autori al regno del disprezzo, dello scherno, del dileggio e della stigmatizzazione pubblica dal quale sono stati esclusi troppo a lungo.

(Solo Immagini): Lee Jeffries



La Farnesina deferisce il diplomatico fascio-rock

Appunti da: Repubblica

 

Video: "Alzerò la bandiera nera"

Il console italiano a Osaka inneggia alla Repubblica Sociale, e fa "musica per i camerati". Il ministero degli Esteri prima minimizza poi interviene, il Pd e l'Anpi chiedono spiegazioni di MARCO PASQUA


ROMA - Inneggia alla Repubblica Sociale italiana, celebra squadristi e bandiere nere e ricorda, con orgoglio, le botte date ad un antifascista, all'università. Parole d'odio e di militanza nera, quelle che risuonano nelle canzoni del Katanga, leader del gruppo "Sotto fascia semplice". Uno che ai concerti, promossi da CasaPound, viene accolto con le braccia tese. Cantore fascio-rock e, allo stesso tempo, rappresentante diplomatico italiano all'estero: dietro allo pseudonimo, ben noto sulla scena neofascista italiana, si cela, come ha rivelato l'Unità, Mario Vattani. Ex braccio destro del sindaco Gianni Alemanno (è stato suo "ministro degli Esteri": dal 2008 al 2011 ha ricoperto il ruolo di consigliere diplomatico), figlio del più famoso Umberto, uno dei diplomatici più potenti d'Italia, attualmente ha il compito di rappresentare il nostro Paese in Giappone. Dallo scorso mese di luglio è stato, infatti, promosso console generale d'Italia a Osaka. Ma la Farnesina, presa visione del caso, ha deciso di deferirlo.

IL VIDEO: VATTANI SUL PALCO 1 1

Sul sito della rappresentanza diplomatica italiana viene riportato il suo curriculum "ufficiale": ha guidato l'ufficio economico commerciale all'ambasciata di Tokyo, è stato consigliere diplomatico di Alemanno quando era ministro delle politiche agricole e forestali e console d'Italia
a Il Cairo. Classe 1966, formazione internazionale, grazie al background e ai mezzi che gli ha messo a disposizione il padre, è entrato nella carriera diplomatica nel 1991. Anni durante i quali era già un leader della musica identitaria, che animava (e anima) gli incontri della destra estrema negli spazi occupati e nei pub neri. Quella delle celtiche e dei raduni nostalgici a Predappio. Voce degli "Intolleranza" prima, fondatore nel 1996 dei "Sotto fascia semplice", non aveva mai cantato live. Anche se, come testimoniano le interviste rilasciate con lo pseudonimo "Katanga", era un sogno che aveva sempre coltivato. La musica, per lui, è sempre stata militanza. Una potente arma da usare per inculcare nei giovani quei valori fascisti di cui le canzoni sono impregnate. A documentare una delle sue prime uscite pubbliche, su Youtube, c'è un video che racconta l'esibizione presso "La tana delle tigri", raduno organizzato da CasaPound nei pressi dello stadio Olimpico.

Canta con Gianluca Iannone, voce degli Zeta Zero Alfa, e attacca pacifisti e disobbedienti. E' la prima esibizione pubblica dei "Sotto fascia semplice". Sul palco esibisce braccia ricoperte di tatuaggi, quelli che poi, nei viaggi da diplomatico, ha sempre celato dietro ad eleganti completi gessati, protetto dalle maniche lunghe. Anche nelle missioni estere con il sindaco Alemanno, da Auschwitz ad Hiroshima (un incarico retribuito con oltre 228 mila euro lordi annui). Una doppia vita anche nel look per il fascio-console. In Campidoglio è tornato, tre settimane fa, per salutare il sindaco e i suoi vecchi collaboratori - che ben conoscevano la sua attività di fascio-cantante. Le sue parole sono musica per l'orda nera: "Una repubblica fondata sui valori degli epuratori - canta in "Repubblica", uno dei suoi cavalli di battaglia - Da chi senza tante storie e con l'aiuto degli stranieri ha fatto fuori quegli ultimi italiani che fino alla fine hanno combattuto per un'altra repubblica".

L'altra Repubblica a cui si riferiva - come spiega in un'intervista concessa ad uno di quei siti di controinformazione che lo osannavano - in contrapposizione a quella italiana ("fondata sui valori della resistenza, sui valori della violenza, sui valori del tradimento e dell'arroganza. Una repubblica fondata sulla lotta armata fatta da banditi e disertori, dinamitardi e bombaroli") è quella della Repubblica sociale, e oggi rappresenta "quella che ognuno di noi può incarnare attraverso la sua attività quotidiana, e non parlo solo di militanza". Un nickname, Katanga, che gli è stato dato a Bologna, durante una trasferta "in pullman - recita il testo della canzone dei Sotto fascia Semplice 'Automito' - le ore di canti, di grida, di inni di sezione. Il grande raduno, i saluti romani davanti alla stazione". In quegli anni militava nel Fronte della Gioventù, gli scontri con i "pelosi" antifascisti (come li chiama lui) erano all'ordine del giorno. Anni difficili, durante i quali, insieme ad altri militanti dell'estrema destra, finirà sui giornali in seguito al pestaggio di due giovani di sinistra davanti al cinema Capranica (salvo poi essere prosciolto). Ma dei pestaggi sembra andar fiero. E lo scrive, nero su bianco, con assai poca diplomazia. Nella canzone "Ancora in piedi" racconta di quando, dopo essere stato malmenato nella facoltà di Scienze Politiche, a Roma, si è vendicato dei suoi aggressori: "Siamo tornati col Matto e con Sergio, siamo passati dalla porta di dietro. Vicino ai cessi dalla parte dell'aula quarta c'era il bastardo che mi aveva aggredito. L'abbiamo messo per terra e cercava di scappare, ma è rimasto appeso a una maniglia. Gli ho dato tanti di quei calci, ed era tanta la rabbia, che mi sono quasi storto una caviglia". Definisce le sue canzoni "musica per i camerati". E la musica potrebbe essere il primo passo per sbarcare nell'attività politica, come ha lasciato intuire in un'altra intervista: "Ritornare a suonare dal vivo - ammetteva - significherebbe riprendere a fare politica attivamente. E' una cosa a cui sto pensando molto in questo periodo". E' venuto il momento - diceva - "in cui ognuno di noi capisce che è venuto il momento per lasciare l'isolamento".

La Farnesina si limita in una prima fase a difendere il primogenito di Umberto Vattani (e a definire la sua musica "un fatto di costume"). Poi, nel pomeriggio, rilascia un comunicato più netto: "Il Ministro degli Esteri Terzi, dopo aver preso conoscenza del caso, ha sin da ieri dato istruzioni affinché esso venga immediatamente deferito alla Commissione di disciplina del Ministero degli esteri, del che il funzionario interessato, Mario Vattani, è stato prontamente messo al corrente".

La doppia vita del diplomatico approderà in Parlamento, con un'interrogazione preparata da Roberto Morassut (Pd): "Presenteremo un'interrogazione urgente al Ministro degli Esteri, Giulio Terzi, per sapere se ritenga opportuna la nomina a console generale d'Italia in Giappone di Vattani, funzionario della Farnesina e leader di un gruppo musicale vicino agli ambienti di CasaPound. Crediamo che, nel momento in cui è ancora aperta l'indagine della Magistratura sull'ipotesi che alcuni esponenti di CasaPound siano responsabili di aggressioni e di violenze ai danni di militanti del Pd, non si possa derubricare a 'fatto di costumè la partecipazione di un diplomatico, nominato console in Giappone, a manifestazioni dove si inneggia alla Repubblica di Salò e ai rituali di una destra identitaria. Per quanto riguarda nomine importanti come quelle di diplomatici, che rappresentano il Paese all'estero, ci permettiamo di sollevare alcuni dubbi sui criteri adottati e sulla presentabilità politica del console Vattani".

L'associazione Libertà e Giustizia, tramite il coordinatore del circolo di Roma, Massimo Marnetto, chiede, con una lettera inviata al ministro Terzi, la rimozione immediata dal console: "Qui non si tratta di 'una questione personale' come ha tentato di minimizzare con inspiegabile leggerezza il portavoce della Farnesina. Infatti, Mario Vattani si pone contro il dettato dell'art. 54 della Costituzione, che vincola tutti i cittadini al dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione. Inoltre, come titolare di delicate funzioni pubbliche di rappresentanza diplomatica, il Vattani-Katanga ha 'il dovere di adempierle con disciplina ed onore', come prescrive sempre l'art.54 della Carta. Per questi gravi e comprovati motivi, le chiediamo di provvedere affinché Mario Vattani sia rimosso al più presto dalla sua funzione, come segno di intransigente rispetto dei valori costituzionali, nati dal superamento della tragedia fascista". Preoccupazione viene espressa dal presidente nazionale dell'Anpi, Carlo Smuraglia: "Le ridicole, 'nere' esibizioni notturne di Mario Vattani, console italiano in Giappone, non possono non preoccuparci in quanto rivelatrici di un clima di 'nostalgismo fascistà che è penetrato fin dentro le istituzioni. L'ANPI, nel richiamare tutte le coscienze sensibili e responsabili ad una vigilanza attiva, con cesserà di condannare fermamente ogni gesto e azione che faccia riferimento a quel momento cupo e criminale della vita del Paese che fu il fascismo, già condannato dalla storia e fuori da ogni consesso che si dica civile e democratico".
(30 dicembre 2011)

Fonte: Repubblica

venerdì 30 dicembre 2011

(Solo Immagini): Eat The Rich!




(Riflessioni su Disgusto e Lotta Di Classe)



CasaPound censura gli scritti di Casseri: ripubblicati in esclusiva, la storia non si cancella!

 

Appunti da: La Repubblica dei Pomodori

 

CasaPound censura gli scritti di Casseri: ripubblicati in esclusiva, la storia non si cancella! 

 

Non si arrestano i "fan" criminali del criminale, che sul web incitano all'odio razziale e a compiere reati, oltre a fare vero e proprio proselitismo neo-nazifascista; intanto CasaPound ha rimosso dal suo sito gli scritti di Casseri oscurando anche le "copie cache" dei cinque articoli recentemente pubblicati su "ideodromo":

 troppo scomodo vedere cosa ci si può permettere di scrivere e cosa si cova realmente nella loro fogna fascista che punta a essere la "faccia pulita" del più bieco estremismo di destra, ma "La Repubblica dei Pomodori" li ripubblica in esclusiva (li trovate di seguito)...










Riflessioni sopra una sentenza








È noto che il nostro ordinamento giuridico, come quello di tutti i paesi che si reputano civili, stabilisce l’indipendenza della magistratura dagli altri poteri dello stato nonché da condizionamenti di ogni tipo, in primo luogo di natura politica. Questo principio, quando viene seguito (e per la verità non avviene sempre), può indurre gli organi giudiziari a decisioni che non si piegano all’esigenza del politicamente corretto. Una di queste fu senz’altro la sentenza del Tribunale Supremo Militare n. 747, emessa nell’udienza del 26 aprile 19541.

La corte era chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da un gruppo di ufficiali e sottufficiali della Legione della Guardia Nazionale Repubblicana “Tagliamento”, inquadrata nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana, che erano stati condannati due anni prima dal tribunale militare di Milano per l’esecuzione di numerosi partigiani, per sevizie durante gli interrogatori e per aver collaborato con i tedeschi. I giudici respinsero la maggior parte dei ricorsi anche se applicarono agli imputati il condono previsto dalla legge 19 dicembre 1953.



Ma l’aspetto interessante della sentenza non risiede tanto nel dispositivo, quanto invece in una serie di considerazioni che il tribunale militare sviluppò in una lunga motivazione, alcune delle quali risultavano all’epoca, come risultano oggi, fortemente destabilizzanti di alcune certezze politiche.
La principale questione considerata dai magistrati riguardava il “carattere della Repubblica sociale italiana”. Mentre si faceva notare che, nel periodo 1943-45, in tutta la penisola “la Sovranità di diritto è sempre appartenuta allo Stato italiano, e il depositario di essa […] fu sempre il Re”, si precisava però che “altra cosa è la cosiddetta sovranità di fatto”. Quest’ultima, dopo l’8 settembre, “fu nella parte dell’Italia ove risiedeva il Governo legittimo [vale a dire nel Regno del sud - N.d.R.], esercitata dalle Potenze alleate occupanti. Non poteva altrimenti essere, dal momento che, durante il regime di armistizio, permaneva lo stato di guerra e l’occupante era sempre giuridicamente «il nemico». Basti considerare che tutte le leggi e tutti i decreti […] ricevevano piena forza ed effetto di legge a seguito di ordine degli alleati. Pertanto, il Governo del Re era un governo che esercitava il suo potere «sub condicione», nei limiti assegnati dal comando degli eserciti nemici.” Dunque, tale governo “aveva solo quella limitata potestà che le Potenze occupanti gli concedevano”, e poiché gli eserciti angloamericani non avevano ancora occupato il centro-nord, in queste regioni il potere di fatto era “in altre mani, una nuova organizzazione politica erasi creata, con un proprio governo, e, cioè, la Repubblica sociale italiana”, che costituiva “organizzazione statuale […] avente capacità giuridica propria”. Se poi qui erano presenti ingenti reparti militari tedeschi, ciò non basta a dedurre “che essi erano gli occupanti e per negare alla Repubblica sociale italiana il carattere di un governo di fatto”. Inoltre niente “autorizza a ritenere che solo un regime di occupazione siasi costituito nel centro-nord dell’Italia ad opera delle forze armate tedesche”, giacché, come notava la corte, “l’ordinanza Kesselring, in data 11 settembre 1943, che assoggettava il territorio italiano alle leggi tedesche, cessò di avere efficacia” il 23 settembre, allorché “Mussolini ebbe a proclamarsi capo dello Stato fascista repubblicano”.
Quindi, dal parallelo tra due regimi che coesistevano nella penisola, bisogna concludere che mentre al Regno del Sud, che pure è sempre stato considerato il governo legittimo, era preclusa “ogni indipendenza”, tale “preclusione non esisteva per la Repubblica sociale italiana che emanava le sue leggi e i suoi decreti senza l’autorizzazione dell’alleato tedesco.”
Da questa importante conclusione scaturivano poi ulteriori considerazioni, due in particolare speculari l’una all’altra. “I combattenti della Repubblica sociale italiana devono essere considerati belligeranti” in quanto, conformemente alle norme internazionali belliche, i loro reparti erano “comandati da capi responsabili, portavano segni distintivi e riconoscibili a distanza, apertamente le armi, e si conformavano per quanto era possibile, nei confronti dell’avversario belligerante, alle leggi e agli usi di guerra”. Al contrario, riconoscere “ai partigiani la qualità di belligeranti” per il tribunale era frutto di “una peregrina interpretazione delle disposizioni vigenti”; questi infatti “non possono essere considerati belligeranti, non ricorrendo nei loro confronti le condizione che le norme del diritto internazionale cumulativamente richiedono.”
Ricapitolando, secondo il Tribunale Supremo Militare, dopo l’8 settembre in Italia vi era un solo stato indipendente, vale a dire la Repubblica Sociale Italiana, mentre il Regno del sud era occupato dagli angloamericani e totalmente soggetto alla loro autorità. Ecco allora venir meno il significato di espressioni come “occupazione tedesca” o “alleati liberatori”. Le forze armate tedesche non erano occupanti, bensì gli autentici alleati venuti in aiuto di un paese amico. Invece, occupanti in senso proprio erano gli angloamericani che invasero la penisola partendo dal sud, e mantennero per tutta la durata del conflitto lo status di nemici invasori.
Giunti a questo punto viene da porsi una domanda: se nel 1954 un’alta magistratura dello stato prendeva atto che il governo ritenuto legittimo non era indipendente bensì soggetto agli stranieri, possiamo affermare che l’attuale governo, erede diretto di quello del 1943-45, ha effettivamente recuperato la propria indipendenza? Rammento che tutt’oggi l’Italia è gremita di basi statunitensi in cui sono dislocati migliaia di militari americani, equipaggiati anche con armi nucleari. Se la presenza di queste forze veniva spiegata in passato con l’esigenza di collaborare alla difesa del nostro paese e dell’Europa occidentale dalla minaccia di un attacco sovietico, dopo il crollo dei regimi comunisti dell’Est come viene giustificata?
Ulteriore quesito: premesso che il 25 aprile 1945 scomparve l’unico governo indipendente presente in Italia, e che sull’effettiva indipendenza di quello che lo ha sostituito sussiste un legittimo dubbio, cosa si continua a celebrare in quella data?








Adriano Romualdi alle radici dell’Europa




Settanta anni or sono nasceva Adriano Romualdi. Quando morì nel 1973 per un incidente stradale, nonostante la giovane età lasciò una cospicua mole di scritti che spaziano da Platone a Nietzsche, da Evola alla Destra tedesca, dagli Indoeuropei alla seconda guerra mondiale. Dotato di notevole preparazione e lucidità, fino ad oggi nessuno è stato in grado di sostituirlo come studioso e teorico all’interno del neofascismo italiano. Comunque, il fatto che non sia più qui, non è una scusa per ignorare la via che indicò quattro decenni or sono, giacché quella stessa via possiamo sempre percorrerla noi. Così Adriano Romualdi, pur risultando morto all’anagrafe, continuerà a vivere.
Ad agevolarci il compito c’è il fatto indiscutibile che le sue idee siano valide ancora oggi, come mi propongo di dimostrare con questo scritto. Qualche anno fa, potemmo gustarci l’acceso dibattito sulle “radici dell’Europa” che opponeva quelli che le cercavano nel cristianesimo a chi invece le identificava nel razionalismo illuminista, riconoscendo questi ultimi qualche debito nei confronti dei filosofi greci. Tra tutti, nessuno ammetteva la possibilità che un’ulteriore punto di vista potesse entrare nel dibattito, avanzando la scandalosa proposta che le radici dell’Europa affondano in un terreno diverso tanto dal cristianesimo quanto dalla filosofia razionalista. Non c’è quindi da meravigliarsi se un testo che effettivamente illustrava una terza posizione sia rimasto pressoché ignorato. Mi riferisco al saggio di Adriano Romualdi Sul problema d’una Tradizione Europea, pubblicato nel 1973.
Come chiarisce il titolo, l’obiettivo dell’autore era di individuare un complesso di valori tradizionali che appartenessero ai popoli del nostro continente. In effetti, allorché Romualdi denuncia “la confusa accettazione di tutti i contenuti storici che, nel corso dei secoli, han riempito lo spazio europeo”, sembra prevedere i termini della controversia a cui accennavo, e, come avvertisse che non sarebbe stato presente, ribatte in anticipo alle posizioni che vi si sarebbero delineate, respingendole una ad una. Così lo studioso nota che il pensiero razionalista dei philosophes “occupa appena due o tre secoli della millenaria storia europea”, e non rappresenta che “un aspetto particolare della aspirazione alla chiarezza insita nella vocazione apollinea” dei popoli europei.
A chi poi sostiene “l’equazione cristianesimo-civiltà europea”, rammenta che “il cristianesimo è alcunché d’importato e, sebbene copra gli ultimi mille anni d’una tradizione europea, ne lascia fuori uno dei momenti più tipici […] il mondo classico.” Ma anche “una troppo stretta equazione Europa-classicità” ci porterebbe fuori strada, se intendessimo  la classicità “in un senso del tutto esteriore, umanistico e razionalistico.” Ridimensionate quelle che allora come oggi erano e sono considerate le radici dell’Europa, Romualdi inizia a scavare nella nostra cultura per portare alla luce ciò che per lui costituisce “il senso d’una «tradizione europea»”. È chiaro che la concezione della storia seguita dallo studioso non è quella che scopre un continuo progresso materiale dell’uomo, un avanzare della civiltà destinata all’immancabile trionfo sulla barbarie. Per lui la storia è invece costituita dall’incontro e dallo scontro tra diverse visioni del mondo, di cui sono portatori gruppi etnici diversi. Quindi il carattere di un popolo non dipende tanto dal fatto che irrighi i campi o che si limiti a condurre il bestiame al pascolo, che costruisca città o che vaghi nella steppa, giacché non sono le condizioni materiali di vita a influire sullo spirito degli uomini, bensì i miti e i simboli in cui si riconoscono.
Così, allorché i popoli di razza nordica calano sulle sponde del mediterraneo travolgendo le civiltà matriarcali “è significativo che questa irruzione s’accompagni alla comparsa di simboli solari. Nasce la svastica […] nascono la croce raggiata, il cerchio riquadrato, il disco puntato e quello radiante”. Il Romualdi storico ha occhio per “il principio paterno che urta contro la «civiltà della Madre»; la virilità olimpica contro il mito taurino e materno della fecondità; l’ethos delle «società degli uomini» contro la promiscuità entusiastica dell’antico matriarcato.” Il rifiuto di una concezione della storia vista come continuo progresso materiale non è il solo punto su cui lo studioso avversa la vulgata corrente. Egli denuncia anche “la caducità di certe contrapposizioni Oriente-Occidente” là dove l’Occidente dovrebbe essere rappresentato dal Cristianesimo e l’Oriente dalle religioni dell’India.
Nella spiritualità primordiale dell’India vedica, Romualdi riscontra “il concetto centrale della religiosità indoeuropea e della razza bianca: quello dell’Ordine […] inteso come lògos universale e collaborazione di tutte le forze umane con tutte le forze divine”. Tale Ordine, “essenza dell’universo indoeuropeo, è nel mondo e fuori del mondo. È la scaturigine da cui sgorgano il kòsmos visibile e quello invisibile”; per il suo mantenimento “collaborano sia lo spirito dell’uomo, sia più alte potenze. L’intelligenza umana non è contraddetta, ma completata, dalla presenza di una intelligenza della natura e dell’universo. Di qui l’imperativo che spinge questa razionalità umana a farsi azione, unificando nella sua lotta i motivi dell’ordine umano e di quello divino. L’Ordine  –  la misura delle cose  –  va strappato ogni giorno alle forze elementari del caos e della notte.” Una spiritualità  affine a quella degli Aryas conquistatori dell’India, Romualdi la riscontra nei Dori reggitori della polis spartana, nonché nella Roma fondatrice di un Imperium universale, massima manifestazione storica dello spirito solare e virile dei popoli europei. “Ma la tradizione europea si eclissa con l’affermarsi del cristianesimo. La teoria d’una diretta continuità della romanità nel cristianesimo è un abbaglio”.
Sarà con i Germani, organizzatori di “una nuova ecumene europea”, che si avrà “il riaffacciarsi d’una antica visione dell’interiorità della stirpe nordico-europea”, sfociante nel medioevo ghibellino di Federico di Svevia e nella mistica germanica di Meister Eckhart. Di fronte a queste ultime manifestazioni, lo studioso riconosce che “l’innesto della religiosità cristiana nella sostanza spirituale europea è un fatto innegabile”, ma, negando che la Cristianità sia fondamento della “civiltà europea”, la vede “come un momento – sia pure importante – d’una storia assai più lunga”, e quindi il suo ruolo appartiene al passato. Voltando pagina “il mondo della tecnica conquista il suo spazio.” Nella scienza moderna Romualdi scorge “una ignoranza d’ogni altra prospettiva, ma anche uno spirito di razionalità e di padronanza che s’inquadra nel contesto d’una tradizione europea.” Così scienza e tecnica presentano “una aderenza allo stile interiore dell’uomo bianco che non si può disconoscere”, e l’operosità del tecnico è “l’ultima, tardiva incarnazione della spiritualità europea”.
Lo studioso è  convinto che l’uomo europeo “non può cessar di ascoltare il suo interiore comando che è quello di creare e di sostenere l’ordine. Midgard – il paese di mezzo, il paese dell’uomo – va comunque difeso contro Utgard, contro le forze del caos  urgenti dal «paese esterno».” Riflettendo sul miserevole stato in cui versa l’Europa nel momento in cui scrive – e oggi non è certo migliorato – Romualdi, pur senza farsi illusioni, afferma che “il risanamento della nostra civiltà è un nostro compito interno.” Se la battaglia è disperata non per questo dobbiamo abbandonare il campo: le forze del caos non cantino vittoria, “perché il centro vada completamente perduto, e la luce spenta, occorre che l’immagine dell’homo europaeus sia prima estinta”. Ma per esser certi che le radici dalle quale assorbire la forza per combattere siano le nostre, dobbiamo trovare una forma spirituale “che non rappresenti un qualunque sincretistico pasticcio ma che riscopra il fondo della spiritualità propria dell’uomo bianco”.
Lo studioso non teme di prospettare una via, per quanto aspra: “Una moderna spiritualità europea non potrà non configurarsi come essenzialmente attiva in un mondo in cui il tema centrale è quello del padroneggiamento delle forze elementari. L’invasione dell’elementare – tecniche, distanze, eccitazioni – sembra essere la caratteristica della nostra epoca. Esso richiede una capacità di disciplina e di semplificazione aliena da ogni sbavatura spiritualistica.” Questo stile, “presagio d’un nuovo classicismo”, Romualdi lo riscontra nei Fascismi europei, che “tentaron di fondere la chiarità delle origini con la nuova chiarità irradiantesi dalla tensione atletica e dal dominio della materia.” E lo studioso, chiedendosi se “questa esperienza è tutta dietro le nostre spalle”, conviene che “difficilmente potremmo articolare la tematica d’una nuova spiritualità europea prescindendo da quei tentativi di fondere chiarità antica e audacia moderna.” Il viaggio di Romualdi è terminato. Partito da un pensiero rilucente, come il sole primordiale che lo vide nascere nella patria hyperborea, è giunto ad auspicare la riscoperta di quello stesso pensiero, per riallacciarsi a una Tradizione veramente europea che veda lo spirito dominare la materia utilizzandone le forze. Se la modernità vorrebbe oscurare la verità che sta alle origini per impedire un ritorno ad essa, la proposta di Romualdi si propone come l’ultima speranza per un’Europa che privata delle sue autentiche radici ha perduto la propria strada. In questo non c’è niente di strano: chi non sa da dove viene, neppure può sapere dove va.




Benvenuti nell’Ucronia












Se Mussolini avesse vinto la guerra,

Mastella sarebbe al potere nel nome del Fasci

Marcello Veneziani





Poniamo il caso che la sera precedente le Idi di marzo del 44 a.C. Giulio Cesare si fosse trattenuto nel giardino della sua domus un po’ troppo a lungo, omettendo di coprirsi bene a dispetto della temperatura non ancora primaverile. Non è peregrino ipotizzare che il mattino successivo si sarebbe svegliato con un febbrone da cavallo e quindi non si sarebbe recato in Senato. Ecco che il conquistatore delle Gallie sarebbe sfuggito ai pugnali dei cospiratori guidati da Bruto e Cassio, dopo di che, ormai padrone assoluto di Roma, postosi alla testa delle sue invitte legioni le avrebbe condotte nel cuore dell’Europa, assoggettando la Germania, i Balcani e addirittura la Russia. Sulla base di una tale ipotesi, non ci vuole molto a convenire che la storia del nostro continente, e del mondo, sarebbe mutata radicalmente. E tutto ciò per un banale colpo di freddo.


Quello che vi ho appena descritto è uno scenario ucronico.


Si definisce ucronia (ma vengono usate anche ulteriori definizioni quali “storia alternativa”, “contro-storia”, “storia virtuale”, “storia controfattuale” e altre) un particolare filone della narrativa fantastica: l’autore di un racconto ucronico prende un evento storico e lo rovescia, vale a dire ipotizza cosa sarebbe successo se quel determinato fatto non si fosse verificato come riferiscono i libri di storia, ma in maniera inversa. Esempio classico: come si sarebbe svolta la storia d’Europa se Napoleone avesse vinto la battaglia di Waterloo invece di perderla?


I fondamenti teorici del genere vengono individuati in un saggio scritto in pieno XIX secolo dal francese Charles Renouvier, e intitolato per l’appunto Uchronie, nel quale si descriveva lo sviluppo della civiltà europea non come si era effettivamente svolto, bensì come avrebbe potuto svolgersi se alla morte dell’imperatore romano Marco Aurelio fosse asceso al trono un successore diverso dal depravato Commodo.


In Italia, negli anni tra le due guerre mondiali, il filosofo cattolico Adriano Tilgher affermava che si riscontrano “nella storia dei momenti cruciali, dei punti nodali, in cui il corso intero degli eventi sembra in modo indubbio sospeso a un evento singolo, individuale, omnimode determinatum,dal non esserci del quale quel corso intero sarebbe stato diversamente atteggiato.” In fin dei conti ci sono “avvenimenti dei quali, anche se non si sono prodotti, abbiamo la più netta coscienza che avrebbero potuto benissimo prodursi”, e nel caso si fossero verificati “il corso degli eventi non sarebbe stato quello che è stato”.


Ma passiamo dalla teoria alla pratica.


Uno dei punti nodali che hanno più attratto gli scrittori ucronici è la seconda guerra mondiale. Negli ultimi sette decenni un gran numero di autori ha ipotizzato che le sorti del conflitto fossero state in tutto o in parte rovesciate, immaginando quindi un dopoguerra diverso da quello in cui viviamo. Alcune di queste opere sono state tradotte nel nostro paese, come La svastica sul soledi Philip Dick, La grande spia di Len Deighton o Fatherland di Robert Harris, tutti ambientati in un mondo dominato dal Terzo Reich che è uscito vincitore dalla guerra. Da parte loro, gli autori italiani si sono più interessati allo sviluppo ucronico del fascismo. Tra gli altri, nel 1950 uscivaBenito I Imperatore di Marco Ramperti, e nel 1980 La grande mummia di Vanni Ronsisvalle, che immaginavano un regime mussoliniano saldamente in sella dopo la vittoria bellica. Se entrambe queste opere presentavano un taglio ironico, ben altro tono ha l’epico romanzo di Mario FarnetiOccidente3, pubblicato nel 2001, gratificato da un notevole successo, e che ha dato origine a una trilogia. La sua notorietà ha varcato persino i nostri confini, se pensiamo che il quotidiano londinese The Times gli ha dedicato il 5 maggio 2001 un articolo su otto colonne.


La vicenda prende il via dall’ipotesi che nel 1940 l’Italia non sia entrata in guerra a fianco della Germania, ma, rimasta neutrale, assistita alla conclusione del conflitto. Nel 1945 l’Unione Sovietica, dopo avere occupato i paesi dell’Est, aggredisce l’Europa occidentale. A quel punto il nostro paese entra in guerra a fianco di USA, Inghilterra e Francia e dà un contributo determinante alla sconfitta dell’Armata Rossa e all’invasione della Russia. Così, negli anni settanta del secolo scorso (epoca in cui è ambientato il romanzo), l’Italia fascista è una potenza mondiale e il suo impero si estende dalle steppe russe all’Oceano Indiano.


Per chiarire gli intenti dell’opera lasciamo parlare lo stesso autore: “La tesi di fondo sulla quale si sostiene il mio romanzo è che, se da un lato il Fatto Compiuto non può essere modificato, dall’altro può invece essere messo in discussione. Questo espediente critico ci permette di prendere in considerazione una gamma di alternative storiche non solo attuabili, ma in certi casi anche auspicabili. Siamo spesso portati a credere che il nostro sia il mondo migliore possibile, ma questa è solo una supposizione che, se riflettiamo bene, non ha alcun fondamento. Per questo motivo, scrivere Occidente è stato per me quasi un dovere intellettuale.” E ancora rileva: “La visione del mondo cui si rifà la nostra cultura attuale è inquinata da un forte complesso di colpa legato alle vicende del ventennio e al disastro seguito alla nostra entrata in guerra. Questi eventi dolorosi hanno agito e agiscono sulla nostra percezione della storia e del presente come una lente deformante. Ecco, io ho voluto eliminare questa lente deformante per riappropriarmi delle radici della nostra tradizione.”


Le parole di Mario Farneti ci fanno sospettare che il suo romanzo – e più in generale ogni narrazione ucronica – costituisca qualcosa di più di un semplice esercizio di fantasia da praticare in un salotto intellettuale per vincere la noia. Questo doveva essere chiaro anche a un altro scrittore, Guido Morselli, il cui romanzo Contro-passato prossimo, pubblicato postumo nel 1975, rovesciava le sorti della prima guerra mondiale, immaginando una storia alternativa per l’Europa5. Morselli affermava che “lo storicismo rimane una delle strutture portanti della cultura mondiale […]. Basta ricordarsi che è lo scheletro teorico del marxismo.” Dichiarava poi che, scrivendo l’opera, era sua intenzione “portare un contributo alla negletta, e anzi proscritta, critica ‛alla’ Storia.”


Anni prima, il già citato Tilgher aveva scritto: “È bene e salutare che lo storico si ponga il problema del ‛se’. Non per fantasticare a vuoto su quello che avrebbe potuto essere e non fu, ma per acquistare chiara e netta coscienza della non-fatalità, della contingenza, della casualitàinerente all’accadere storico, ad ogni accadere storico.”7


E a distanza di decenni la positiva funzione antistoricista dell’ucronia continua a essere riconosciuta, tra gli altri, dal medievalista Franco Cardini: “Quel che nella storia è accaduto non ha alcun titolo di maggior verosimiglianza rispetto alle infinite cose che avrebbero invece potuto succedere, se non questa: che è avvenuto.” In questo senso “l’ucronia ci libera dal fardello della necessità storia.”


Da parte sua lo studioso di Oxford, Niall Ferguson, ricercatore di Virtual History, dichiara: “Il nostro è un approccio anti-determinista, anti-marxista: cerchiamo di ricreare la natura caotica dell’esperienza per dimostra che il corso della storia non è mai certo.”9


In definitiva, l’ucronia avversa lo storicismo e tutte quelle ideologie intenzionate a convincerci che le cose sono andate nel solo modo in cui potevano svolgersi, che la storia marcia secondo una direzione necessaria che è anche l’unica positiva. Contro queste idee dimostra che a determinare la storia sono anche eventi imprevedibili, piccoli e apparentemente insignificanti, proprio come il malanno che avrebbe potuto colpire Giulio Cesare. Ecco allora che scrivere e leggere narrativa ucronica si rivela un modo per destabilizzare la storia e quindi la realtà in cui viviamo.


Ma, attenzione: la storia alternativa può assumere forme diverse. Gianfranco de Turris, introducendo un’antologia ucronica, nota che questi racconti si possono scrivere “per sostenere implicitamente che è stato meglio che le cose siano andate come in effetti sono andate, che la possibile alternativa sarebbe stata peggiore della realtà come la conosciamo, che la Storia ha fatto bene a non prendere vie diverse da quelle note.” Indubbiamente questa impostazione “diminuisce le potenzialità dell’Ucronia”; al contrario vi sono narrazioni “scritte per dimostrare che le cose sarebbero andate meglio e non peggio se la Storia avesse imboccato percorsi diversi”. In questo caso l’ucronia ci abitua veramente al “revisionismo assoluto e all’immaginario politicamente scorretto. Con buona pace dei Guardiani del Pensiero Unico e della Immutabilità Storica. Se non esiste un Piano o Fine generale predeterminato della Storia umana […] non deve nemmeno esistere il tabù del Fatto Compiuto: allora tutte le possibilità sono sullo stesso piano, tutti i futuri sono ugualmente possibili”.


Considerando anche quanto affermato dai teorici citati sopra, possiamo dire che sia questo secondo tipo di narrativa, col suo “revisionismo assoluto”, a costituire la vera ucronia.


Per concludere, se nonostante tutto non siete ancora convinti del valore della storia alternativa, eccovi l’opinione del giornalista, politologo ed ex ambasciatore Sergio Romano: “La storia ipotetica, virtuale o controfattuale […] mi è sempre parsa giustificata. Non può cambiare il corso degli eventi, ma è un’eccellente ginnastica mentale, soprattutto per coloro che dovranno prendere le decisioni di domani.”


Dunque, un consiglio a chi aspira a far parte della futura classe dirigente: studiate l’ucronia!



Il magico Pound


Ho portato la grande sfera di cristallo;

chi la può sollevare?

Puoi tu penetrare nella ghianda di luce?




Ezra Pound, Canto 116










Più di un lettore dei Cantos, il capolavoro poetico di Ezra Pound, è rimasto affascinato dalle singolari costruzioni linguistiche forgiate dal “Miglior Fabbro”. Versi apparentemente incomprensibili, frasi prive di una logica evidente, strofe che sembrano create solamente in funzione di un effetto sonoro. Gli esegeti di Pound hanno provveduto a discernere il significato intrinseco del poema, illuminando gli ammaliati lettori sul perché e il percome. Tuttavia i Cantos conservano l’aura di un senso nascosto, che l’esame intellettuale non riesce a fissare, ma anzi, rende ancora più sfuggente. Se i critici ortodossi hanno scritto solidi saggi su Pound poeta, studioso di economia e uomo di cultura, qualcuno ha preferito esplorare terreni più ambigui, chiedendosi se l’opera del Nostro non presenti caratteri occulti, esoterici e, diciamolo pure, magici.


Alcuni testi sull’argomento sono disponibili anche in Italia. Tra questi uno dei primi a vedere la luce fu un breve scritto dell’egittologo Boris de Rachewiltzi, che riveste particolare importanza perché l’autore era il genero di Pound, avendone sposato la figlia Mary, e si trovava quindi a stretto contatto col poeta.


De Rachewiltz dichiara di non voler “attribuire all’opera di Pound un’impostazione di per sé magico-iniziatica”; semmai la sua intenzione è di “indicare i motivi essenziali e strutturali della tematica poundiana che possono andare riferiti appunto a tale dimensione.” Rilevato che “Pound concorda con l’ermetismo che dà valore a tutto ciò che ha forma, che è compiuto secondo un limite e una misura”, a proposito dei Cantos afferma che la loro struttura “si avvale di elementi visivi, veri ‛punti di appoggio’ magici”, tanto che nel poeta rivivrebbe “l’antica idea neoplatonica che i geroglifici egiziani fossero di per sé simboli magici”.


Per dimostrare come sia solidamente attestato il nesso tra magia e poesia, lo studioso cita poi un brano attribuito a Julius Evola: “Chi tiene presente quanto siano legati alle prime forme di coscienza sottile l’elemento «ritmo» e l’elemento «imagine», può comprendere come certe esperienze trascendenti possano esprimersi meglio attraverso la poesia, che non attraverso il comune pensiero astratto. […] Vi è un’arte sottile di associare certe parole, che secondo il loro significato solito tratto da corrispondenze sensibili nessuno penserebbe a mettere insieme.”iiCome ho evidenziato all’inizio di questo articolo, basta una rapida scorsa ai Cantos per individuare associazioni di parole e corrispondenze che assumono un significato specifico soprattutto se lette mantenendosi discosti dal rigido razionalismo.


Di grande rilievo è la citazione di Pound “a god is an eternal state of mind [un dio è un eterno stato mentale - T.d.R.]”, che trova il corrispettivo nella dottrina alchemica per cui “dovunque si parla di ‛dèi’ o ‛numi’, si tratta di stadi trascendentali della coscienza e ‛conoscere un dio’ equivale a penetrare in stato creativo”iii. Per il poeta, dunque, la divinità è una condizione dello spirito umano, così come nel pensiero magico la tensione verso il divino opera attraverso una mutazione interiore.


Date queste premesse non è sorprendente che altri studiosi abbiano seguito indagini affini.


Demetres Tryphonopoulos, un greco che insegna letteratura negli Stati Uniti e che vanta al suo attivo numerosi studi su Pound, è l’autore di un erudito saggioiv che partendo dagli studi giovanili di Pound sull’occultismo, esamina poi i suoi contatti con gli ambienti esoterici di là e di qua dall’Atlantico: tra tutti l’incontro con William Butler Yeats. Quindi punta l’obiettivo su quei Cantosnei quali l’elemento occulto si svela all’occhio e alla mente di chi sa leggere, evidenziando i punti di contatto tra il poema e quelle dottrine legate al “corpo di pensiero religioso speculativo eterodosso che sta la di fuori di tutte le ortodossie religiose e che comprende movimenti quali lo gnosticismo, l’ermetismo, il neoplatonismo, il cabalismo, la teosofia”.


Quello che risulta è un ulteriore aspetto dell’opera e del pensiero di Pound, opera e pensiero multiformi ma che non presentano contraddizioni. Creando “l’epica della Nuova Era”, il “Miglior Fabbro” riuscì a forgiare uno strumento che con le sue molte sfaccettature può servire a scardinare l’uggiosa realtà imposta dal pensiero unico. È chiaro che la rivolta di Pound contro il mondo moderno non era dettata solamente dalla sua avversione per un iniquo sistema finanziario. Si trattava di un’opposizione molto più radicale contro tutto ciò che il razionalismo rappresenta.


Carattere peculiare di chi opera attraverso la magia è di dare preminenza alla ‛volontà’ rispetto alla ‛ragione’. Lo stesso Pound si rendeva conto di seguire questo principio quando scriveva: “Mi si obietterà che sto cercando di fondare un sistema sulla volontà anziché sull’intelletto. È proprio questa una delle ragioni principali che mi hanno spinto a scrivere questo trattato.”v


Se è legittimo sospettare che l’autore dei Cantos seguisse processi mentali affini al pensiero magico, ecco allora, sotto le maschere del poeta e dello studioso di economia, svelarsi l’intima essenza di Ezra Pound, un mago del XX secolo.






NOTE


i Boris de Rachewiltz, L’elemento magico nella poesia di Ezra Pound, Raffaelli Ed., Rimini, 2008, (I ed. Scheiwiller, Milano, 1965).


ii EA, Poesia e realizzazione iniziatica, in Introduzione alla magia vol. III, Ed. Mediterranee, Roma, 1971, p. 27.


iii Julius Evola, La tradizione ermetica, Laterza, Bari, 1931, p. 194, nota 1.


iv Demetres Tryphonopoulos, Ezra Pound e l’occulto. Le radici esoteriche dei Cantos, Ed. Mediterranee, Roma, 1998.


v Ezra Pound, L’ABC dell’economia, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, p. 39.




Tex e il fantastico




I

l fantastico è frequente nei fumetti di Tex1. G. L. Bonelli afferma in una intervista: “Per me le avventure fantastiche [...] hanno rappresentato una specie di ‘vacanza’ che mi permetteva di uscire dai meccanismi inevitabilmente ripetitivi del Western tradizionale. Ho ragione di credere che i lettori abbiano accettato queste ‘divagazioni’ con lo stesso mio spirito!”2. In effetti quel tipo di storie sono tra le più amate dai suoi lettori3, merito anche delle capacità di Bonelli, che sapeva coniugare ad un’ambientazione western,generi come la fantascienza e l’orrore che pure potevano apparirle estranei4.


È interessante indagare quale sia il ruolo che il fantastico e la magia svolgono nelle avventure di Tex, e quale l’atteggiamento tenuto dal ranger di fronte ai fenomeni inspiegabili.


Sul primo punto è illuminante quanto scrive Silvia Tomasi: “Ecco quindi nell’epopea laica della Colt riaffiorare il volto numinoso del sacro, ma con l’etichetta nera, e questa irruzione deve offrire un panico sconosciuto, deve costituire una minaccia che rompe la stabilità delle leggi in un mondo noto.”5. È evidente, in queste parole, il riferimento alla concezione dello studioso francese Roger Caillois che vede nel fantastico “una lacerazione, una irruzione insolita, quasi insopportabile nel mondo reale.”6e afferma che “nel fantastico il soprannaturale si manifesta come rottura della coerenza universale.”7 Non c’è alcun dubbio che il mondo in cui si muove Tex sia il nostro mondo, vale a dire una realtà in cui la magia ed il sovrannaturale non esistono, o non dovrebbero esistere, e che quindi, qualora si manifestino, generano una crisi e destabilizzano le nostre consolidate certezze, provocando il “conseguente sconvolgimento dell’esistenza del singolo e della collettività.”8 Questa crisi, questo sconvolgimento, sfociano immancabilmente nella paura, come nota ancora Silvia Tomasi: “Le avventure gotiche dei quattro pards [Tex e i suoi tre compagni abituali. - N. d. R.] procurano agli increduli lettori il terrore voluttuoso delle storie di magia.”9 Ma, si badi bene, la paura è riservata agli “increduli lettori” che sprofondati in poltrona con l’albo tra le mani, si godono la commistione tra paura e incredulità. Tutto ciò non vale per Tex: al contrario dei lettori, il protagonista delle storie non appare né spaventato né incredulo.


Che il ranger non sia terrorizzato dal sovrannaturale è unanimemente constatato. Silvia Tomasi afferma che “nessun aspetto dell’orrore magico inibisce o spaventa Tex”10. Sulla stessa posizione Ermanno Detti, secondo il quale l’eroe “combatte più volte dure e difficili battaglie contro i sortilegi del terribile Mefisto e di suo figlio Yama senza conoscere la paura”11. Infine, Piero Di Castro conferma che “questa presenza quotidiana del soprannaturale non inibisce Tex e non lo spaventa [...] non è impressionato da incubi, succubi, fantasmi, vampiri, licantropi epoltergeist.”12


Quando però si arriva ad indicare i motivi per cui Tex non prova sgomento di fronte a spettri e magie, le opinioni dei critici divergono. Piero Di Castro, ricorrendo a Freud, riscontra che nel ranger è presente “un altro registro, più nascosto e arcaico, che entra in attività di fronte alla provocazione dell’ignoto [...] emerge, senza strappi né conflitti il suo tipo narcisistico<"13, dopo di ché, nonostante nel medesimo articolo escluda di voler sottoporre Tex ad una indagine psicoanalitica, si addentra in una disamina del tipo Tex con ampie citazioni freudiane. Pasquale Iozzino, dopo aver constatato che “perfino il potente Mefisto è sconcertato dall’incredibile coraggio del ranger che irride le sue manifestazioni di magia nera”, conclude: “Uomo pratico, dalle azioni sempre ispirate dal raziocinio, Tex ha un atteggiamento fondamentalmente scettico riguardo ogni cosa che esula dalla normalità, dal quotidiano”14. Su una posizione diametralmente opposta alla precedente è Silvia Tomasi che definisce Tex “un ostinato credulone” e, certa che “Willer sa che la quotidianità è ambigua, esiste sempre qualche faglia temporale dove ci si può perdere […]. Quando la civiltà, appollaiata in cima alla propria idea di realtà vacilla e crolla su se stessa, ecco che tornano alla luce tutti i mostri dimenticati e prende il sopravvento il lato oscuro della vita”, conclude: “In fondo non è importante che non creda, ma che non tremi”15. Ermanno Detti rileva nel comportamento di Tex un’apparente illogicità: “Il nostro insomma non mette in dubbio l’esistenza di forze misteriose [...] ma anche di fronte alle più terribili forze sovrannaturali si comporta come se il nemico fosse uno qualunque [...] senza paura e senza perdere la speranza di combatterle e di vincerle. È quasi curioso vedere un eroe che, pur in difficoltà di fronte a forze misteriose e occulte, mantiene il suo comportamento e la fiducia nelle proprie forze materiali (pugni e colt).”16


Se queste opinioni discordanti ci rendono frastornati, ci soccorre Roger Caillois quando, parlando del racconto fantastico che genera paura nel lettore, nota: “Esso non poteva emergere che dopo il trionfo della concezione scientifica di un ordine razionale e necessario dei fenomeni, dopo il riconoscimento di un determinismo rigoroso nella concatenazione delle cause e degli effetti. In breve, nasce nel momento in cui nessuno crede più alla possibilità del miracolo. Se ormai il prodigio fa paura è perché la scienza lo bandisce e noi lo riteniamo inammissibile, terrificante. [mio il corsivo]“17. Dunque le manifestazioni del fantastico e del sovrannaturale atterriscono solo chi non ci crede, mentre chi è disposto ad accettarle, ammettendo che possa esistere qualcos’altro oltre al mondo che ci circonda, sfugge alla morsa del terrore, e trova proprio nella sua accettazione la forza di reagire alla minaccia dell’ignoto. Questa è esattamente la reazione di Tex: la magia di Mefisto, i fenomeni sovrannaturali, i fatti che la scienza non può spiegare, non lo impressionano più di tanto, perché è disposto ad accettarli. Quindi tutt’altro che “scettico” o “credulone”, la sua mente non si fossilizza sulle verità imposte dal razionalismo, invece mantiene un’elasticità di giudizio che, lungi da farne un bevifrottole, gli permette di estendere il confine del reale oltre il limite stabilito dai nostri cinque sensi.


È da notare come i successori di G. L. Bonelli non abbiano saputo recepire questo aspetto della personalità di Tex. Si prenda come esempio la storia La miniera del terrore, scritta da Claudio Nizzi e pubblicata su Tex Gigante nn. 336-338. Il ranger indaga su misteriosi fatti avvenuti in una miniera d’oro, che si dice sia infestata da una sorta di Dio Serpente che assumerebbe forma semi umana. Gli stessi minatori dichiarano a Tex di aver visto l’essere nel suo aspetto umanoide. Alla fine si scoprirà che si tratta di una mistificazione (un uomo agghindato con testa e coda in finta pelle) messa in atto da alcuni loschi individui che vogliono allontanare i minatori per poter avere lo sfruttamento esclusivo della miniera. La cosa che non quadra nella trama è l’atteggiamento assolutamente scettico assunto da Tex, che in una vignetta esclama: “Sa il cielo se ne ho viste di cose strane in vita mia, ma questa, per Giove, le batte tutte!” (T.G. n. 336, p. 49). Sarà bene ricordare a questo punto alcune delle “cose strane” che Tex ha visto in vita sua: 1) ha assistito alla smaterializzazione di una mummia vivente di cui aveva constatato personalmente la materialità (T.G. n. 50, p.74); 2) ha tranquillamente conversato con due persone che poi si sono rivelate essere fantasmi tornati dall’oltretomba per reclamare vendetta (T.G. n. 116, p. 9-32); 3) ha ucciso un negro, solo per sentirsi dire subito dopo da un medico, che quell’uomo era evidentemente morto già da alcune ore (T.G. n. 126, pp. 111-112, e T.G. n.127, pp. 5-6); 4) si è scontrato con un uomo semi trasformato in belva, e per ucciderlo ha dovuto letteralmente riempirlo di piombo (si contano quindici spari di fucile a distanza ravvicinata), dopo che lo stesso aveva piantate in corpo una decina di frecce ed un pugnale (T.G. n. 136, pp. 80-81). In nessuna di queste circostanze Tex ha mostrato il minimo segno di stupore o incredulità. È evidente che, nel caso del Dio Serpente, lo sceneggiatore voleva presentarci un Tex razionalista in mezzo a dei creduloni, ma il personaggio creato da Gian Luigi Bonelli non avrebbe mai tenuto quel comportamento, invece considerato che più volte ha constatato personalmente e senza ombra di dubbio che i fenomeni sovrannaturali esistono, avrebbe preso per un dato di fatto le dichiarazioni dei minatori, poi, senza farsi impressionare avrebbe affrontato il presunto essere mostruoso, pronto ad accettare qualunque verità si fosse rivelata. Questa incomprensione è stata accompagnata dalla rarefazione delle storie fantastiche e dal loro netto peggioramento qualitativo che è culminato con l’ultimo ritorno di Mefisto in una storia sempre scritta da Nizzi che è stata definita “una collezione di ingenuità, leggerezze, occasioni perdute”18.


Per concludere posiamo chiederci i frequenti scontri tra il ranger e le forze occulte si inquadrino nello schema dell’eterna lotta bene/male, Dio/Satana, a cui ci hanno abituato un’infinità di romanzi, film e fumetti. È evidente che certi poteri di cui si ammantano gli avversari magici di Tex sono di origine diabolica, almeno come la possiamo intendere nell’odierna cultura occidentale. Ma se Mefisto & C. fanno largo impiego di questi poteri, appaiono invece molto più restii a chiedere l’intervento diretto delle entità che ne costituiscono la fonte19. Come rilevano Peter e Caterina Kolosimo, Mefisto “evoca soltanto in scarse occasioni le potenze infernali, e lo fa, più che altro, per autosuggestionarsi e aumentare in tal modo i propri poteri.”20 D’altra parte, se le supreme forze del male si intravedono appena, quelle del bene sono assolutamente latitanti, né Tex si sognerebbe mai di evocarle, fiducioso com’è “nei contro-poteri apotropaici della Colt.”21Dunque, nell’universo che fa da sfondo a queste avventure, l’entità suprema che incarna il bene, al pari di quella che incarna il male, è praticamente assente: è una sorta di deus otiosus22, che si è ritirato dal mondo abbandonando dietro di sé una frazione dei propri poteri, e lasciando gli uomini a sbrigarsela da soli, come fosse infastidito dalle nostre beghe.


In questo mondo privo di senso del sacro (inteso senza differenziazione tra bene e male), in cui il fantastico è un’eccezione che infrange le regole e quindi porta con sé un inevitabile terrore, si muove Tex Willer. Forte delle sue incertezze, pronto a confrontarsi con quelle infrazioni che accetta, consapevole che una realtà possa essere altra, ma non per questo è meno reale.


1 Sul sovrannaturale e il fantastico nelle storie di Tex vedi:

Peter e Caterina Kolosimo, Introduzione al volume a fumetti Tex contro Mefisto, Mondadori, Milano, 1995 (I ed. 1978);

Antonio Tettamanti, Tex e il fantastico, in Giulio Cesare Cuccolini (a cura), Un editore un’avventura, numero speciale de Il Fumetto, A.N.A.F., Roma, 1984;

Anonimo, Il fantastico in Tex, in Fumo di China n. 5 (32) speciale 40 anni di Tex, Alessandro Distribuzioni, Bologna, luglio 1984;

Silvia Tomasi, Tex: è vero ma non ci credo, in Roberto Barbolini e Silvia Tomasi (a cura), Paper hell – Carte infernali, Transeuropa, Ancona – Bologna, 1991;

Daniele Bevilacqua, Le incursioni nel fantastico di un western ortodosso, in P. Iozzino e D. Bevilacqua, Tex Horror… cit.


2 Intervista pubblicata sul volume a cura di Raffaele De Falco e Pino di Genua Tex. Tra la leggenda e il mito, Ed. Tornado Press, Marano di Napoli (NA), 1994. Citazione ripresa da D. Bevilacqua, Le incursioni… cit.


3 Lo conferma Sergio Bonelli allorché, parlando delle storie fantastiche di Tex, dichiara che “i lettori ne restavano immancabilmente conquistati.” in Sergio Bonelli Tex Willer, o l’arte della fuga, presentazione al volume a fumetti Tex e i figli della notte, Oscar Mondadori, Milano, 1997.


4 Ma vedi su questo punto le convincenti considerazioni di Daniele Bevilacqua nel suo articolo Le incursioni… op. cit. in particolare pp. 11-12.


5 S. Tomasi, Tex, è vero… cit.


6 Roger Caillois, Dalla fiaba alla fantascienza, Theoria, Roma – Napoli, 1991, p. 19.


7 R. Caillois, Dalla fiaba… cit., p. 21. Per una analisi critica della concezione di Caillois che ne rileva i limiti e che, ampliando il significato del termine “fantastico” e stabilendo un legame indissolubile tra lo stesso ed il Mito, la supera, pur senza contraddirla totalmente, vedi: Alex Voglino Neosimbolismo. Elementi per una esegesi della letteratura fantastica, in AA.VV. Dal mito alla fantasia – Atti del I Convegno Nazionale di Narrativa Fantasy e dell’Immaginario – Chieti 20-21 giugno 1981, Solfanelli Editore, Chieti,1983, in particolare pp. 10-12. Su posizione analoga, ma che limita la critica a Caillois a un piano sostanzialmente terminologico, Gianfranco de Turris, Il genio dell’incubo, in Abstracta, n. 1, Stile Regina Editrice, Roma, gennaio 1986.


8 G. de Turris, Il genio… cit.


9 S. Tomasi, Tex, è vero… cit.


10 S. Tomasi, Tex, è vero… cit.


11 Ermanno Detti, Tex, filosofia e religione, in P. Iozzino e D. Bevilacqua (a c.), Tex horror… cit.


12 Piero Di Castro, Tex, T. – Rex, Text, Tex Libris e altre evocazioni magiche, in Mauro Paganelli e Sergio Valzania (a cura) Gianluigi Bonelli – Aurelio Galleppini, Editori del Grifo, Montepulciano (SI), 1982.


13 P. Di Castro, Tex… cit.


14 Pasquale Iozzino, Tex, l’intrepido, in P. Iozzino e D. Bevilacqua (a c.) Tex horror… cit.


15 S. Tomasi, Tex, è vero… cit.


16 E. Detti, Tex, filosofia… cit.


17 R. Caillois, Dalla fiaba… cit., pp. 21-22.


18 Gianluca Casseri, Postille al ritorno di Mefisto, nel periodico La Soglia n. 4, aprile 2003. L’articolo critica pesantemente la storia. Per altre forti critiche vedi Franco Spiritelli, Il triste ritorno di Mefisto, nel periodico Fumo di China n. 107, marzo 2003.


19 Questa regola sarà infranta nell’ultima storia che oppone Tex a Yama. Il fatto che ciò avvenga quando ci troviamo già in pienadecadenza narrativa, non ne costituisce una contraddizione, ma anzi una conferma.


20 P. e C. Kolosimo, Introduzione… cit., p.10.


21 Gianni Canova, Tex Willer, un milanese nel Far-West, citazione ripresa da S. Tomasi, Tex, è vero… cit.


22 Il concetto di deus otiosus è stato espresso dallo storico delle religioni Mircea Eliade in varie opere. Tra le altre vedi: Mircea Eliade,Mito e realtà, Borla, Torino-Leumann, 1966, pp. 124-129. Vedi anche Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni, Bollati Boringhieri, Torino, 1999, pp. 45 e segg.




AGGIORNAMENTO DEL 30 DICEMBRE

QUESTI ALCUNI DEI LINK DAL "CENTRO STUDI LA RUNA", CHE SMENTISCE L'APPARTENENZA DI CASSERI ANCHE SE AMMETTE IL SUO AVER SCRITTO PER LORO (ECCO IL LORO MESSAGGIO E I NUOVI LINK DI ARTICOLI RIMOSSI, PERCHé LA STORIA NON SI CANCELLA!)



IL SAGGIO SU DRACULA DIVISO IN SETTE PARTI











Un altro articolo per "La Runa"






LA SUA BIOGRAFIA E LA RIVISTA DA soronel.it











SU QUESTO NUMERO DEL 2005 DELL'ASSOCIAZIONE CULTURALE THULE ITALIA OLTRE ALL'ARTICOLO SU ROMUALDI ANCHE UNO SULLA "GIOVENTù DI HITLER"





Fonte: La Repubblica dei Pomodori